giovedì 8 marzo 2012

La Crocifissione dei Santi di Jacopo da Ponte (detto Bassano)

Scritta da Giacomo Prete

La “Crocifissione dei Santi” di Jacopo Bassano, eseguita tra il 1561 e il 1562, è stata commissionata dalle suore del convento di San Paolo per la pala dell'altare dell'omonima chiesa a Treviso ed è uno dei dipinti più importanti e caratterizzanti della produzione dell'artista, legato in quel periodo al movimento manieristico. Il dipinto fu trasferito nel 1810 nella chiesa di San Teonisto a Casier, a causa delle soppressioni napoleoniche; nel 1946 fu donato al museo Luigi Bailo di Treviso, ove è attualmente conservato.

Il dipinto, alto tre metri e largo uno e mezzo viene realizzato in olio su tela, riprende ampiamente la Crocifissione del Tiziano in San Domenico ad Ancona, la grafica del Parmigianino e del Veronese, lo stile lumistico del Tintoretto.

crocifissione

Il colore è chiaro, ma pieno di risonanze, la forma è ben definita e di proporzioni canoniche, sicchè la stilizzazione porta ad un equilibrio misurato, classico. Ciò è stato reso possibile grazie alla particolare cura del Bassano nella scelta dei pigmenti per la composizione delle tinte. In particolare è stato provato l'impiego di bitume e di lacche rosse e gialle (lacca d'alizarina, giallo santo), di cui Jacopo fa largo uso nelle velature per ottenere effetti cromatici di luminosa trasparenza e preziose iridescenze nella sua <<ultima maniera>>.

Raffigura la crocifissione di Cristo ed assume una struttura piramidale avente come vertice il volto di Gesù e come base i quattro personaggi: Maria, la Maddalena, S. Giovanni e S. Girolamo. Il tema principale del quadro è il dolore, ma anche la misericordia nel volto di Cristo, un tema che viene rappresentato attraverso lo sguardo e la posizione delle figure. Per ognuna di queste possiamo osservare quattro fasi distinte: nella prima, a sinistra troviamo la Vergine Maria, con le mani giunte, lo sguardo intriso di un dolore contenuto : la sua è una sofferenza intrinseca, il dolore accettato di una madre consapevole della missione di suo figlio, raccolta nel silenzio della preghiera. Nella seconda fase vi è Maria Maddalena, riversa sulla croce, quasi nel disperato tentativo di salvare il Cristo da una morte ormai certa: al contrario della Vergine Maria, la sua è una sofferenza manifestata apertamente, non supportata da una reale consapevolezza del ruolo salvifico di Gesù, ma molto umana e affettiva. Il contrasto tra la Vergine Maria e la Maddalena si può osservare anche dal punto di vista cromatico: le due donne sono vestite con colori “contrastanti”, rosso e blu, entrambi colori caratteristici della passione. Al centro vi è San Girolamo, raffigurato nell'atto di leggere l'Antico Testamento lì dove si annuncia la venuta del messia, e allo stesso tempo osserviamo San Giovanni sulla destra, intento a osservare il compimento delle antiche profezie; il suo volto non manifesta un particolare tormento: egli è consapevole di ciò che sta accadendo. Questi due personaggi bilanciano cromaticamente l'opera, evidenziando nuovamente l'isolamento di Maria.

La fonte più antica che riguarda il pittore è rappresentata dal volume “Il Bassano” del 1577 di Lorenzo Marucini, concittadino di Bassano, che esalta la capacità inarrivabile dell'artista di imitare in pittura qualsiasi cosa animata e inanimata. Infatti Jacopo si fa interprete del movimento manierista, corrente di pensiero rappresenta la natura così come appare all'occhio. L'adesione alla corrente del Manierismo si può osservare in particolare nella raffigurazione del Cristo, nel quale si può notare l'estremo realismo nel sangue che sgorga dalle ferite del corpo, una rappresentazione che insolitamente si vede nelle crocifissioni, poiché avvicina Gesù al mondo terreno, non più elevandolo a una figura celeste, ma piuttosto ad una realtà umana.

La formazione di Jacopo si è sviluppata nella bottega del padre: l'artista si occupò prevalentemente di soggetti religiosi e “di genere” e la sua pittura fu influenzata fortemente dal Parmigiano e dal Salviati, in particolare nella scioltezza delle forme e nella luminosità dell'età matura. La sua produzione fu però oggetto di critiche in epoca classicistica, in cui veniva accusato di povertà dì invenzione, mancanza di nobiltà, di grazia e d'eleganza e l'insistenza su temi considerati triviali.

Altro aspetto da sottolineare nell'opera è che nessuna delle cinque figure guarda l'altra in modo diretto: ciò sta a simboleggiare che ciascuno è solo con la propria sofferenza e non può chiedere aiuto a nessuno. In basso a destra vi è il teschio di Adamo, simbolo del peccato originale e ricorrente in molte crocifissioni, ad esprimere la sconfitta della morte: con Adamo ha avuto infatti inizio il peccato, la “morte spirituale” dell'uomo e ora, con il sacrificio di Cristo, si apre il cielo e l'uomo viene liberato. Jacopo Bassano riprende alcuni elementi della “Crocifissione con Santi” di Hans Memling, come il perizoma svolazzante, la cromia chiara e forte, imperniata sulla triade di blu, rosso e bianco, la Maddalena che afferra il basamento della croce.

Attorno al volto di Cristo può essere osservata una tipica tecnica di Jacopo Bassano, chiamata “lume serrato”, opposta a quella del “lume aperto”: esso ci appare soffusamente rischiarato da un piccola fonte luminosa, evidenziando così i dettagli del volto addolorato e misericordioso, a discapito del cielo sullo sfondo. Proprio il cielo può essere visto in tre differenti interpretazioni: la prima consiste nella raffigurazione della realtà, ovvero il tramonto imminente; nella seconda, ci viene proposta il compimento delle profezie contenute nella Bibbia, dove si narra che il giorno del sacrificio di Cristo il cielo si sarebbe oscurato, diventando quasi “apocalittico”; la terza è una spiegazione allegorica: il cielo cupo rappresenta la sofferenza patita da Cristo per conseguire l'obiettivo di sconfiggere il peccato. La luce che dal fondo illumina i personaggi sancisce dunque la vittoria sulla morte e fa quindi presagire la futura resurrezione di Gesù.

Il diario di bottega e i dipinti ci forniscono l'immagine di un uomo sereno, equilibrato, integrato nella società del tempo, di fede profonda, privo di ansie e turbamenti. Si azzardano su di lui possibili adesioni alle opposte Riforme, protestante e cattolica, ma questo fatto resta tutto da indagare: al contrario, curiosamente, è proprio da quest'individuo, solitario, lavoratore, apparentemente lontano dai grandi movimenti artistici dell'epoca, che nascono alcune delle maggiori rivoluzioni sul piano pittorico e contenutistico del Cinquecento.

Francesco da Milano

Notizie tra il 1502 e il 1541

Sala dei BattutiSu questo pittore lombardo poche sono le notizie biografiche. Il primo dato certo, relativo al 1502, si riferisce ad una pala, oggi perduta, realizzata per la parrocchiale di Colle Umberto assieme ad alcuni affreschi. Basandosi su ciò, e valutando questa come l’opera di esordio, potremmo collocarne la nascita intorno agli anni ottanta del Quattrocento, considerando l’inizio probabile della sua attività intorno ai venti anni. Si sa poco sulla sua formazione e su eventuali committenze in Lombardia. Sappiamo che per gran parte della sua vita visse in Contrada de Piai a Serravalle (Vittorio Veneto) dove il Consiglio Cittadino, apprezzando la sua qualità pittorica, gli aveva inizialmente commissionato l’opera dell’altar maggiore della chiesa locale.  Il milanese però non la dipinse mai perchè gli fu preferita l’abilità del Tiziano che intorno al 1540-42 realizzò la magnifica Sacra Conversazione con Madonna e il Bambino tra Sant’Andrea e San Pietro. L’attività maggiore del nostro pittore si colloca geograficamente tra la provincia di Treviso e Pordenone, specialmente nella Sinistra Piave.  La sua cultura pittorica di base lombarda (vicina a Previtali), ma con forti ascendenze della maniera del Pordenone (forse è troppo dire che sia raffaellesco come dicono alcune fonti) si esprime in maniera più compiuta nel ciclo di affreschi per la Scuola dei Battuti presso il Duomo di Conegliano la cui committenza deve essere di poco superiore al 1510 anno in cui dipinse alcuni affreschi a Sant’Andrea del Bigonzo. L’attività presso la scuola dei flagellanti fu compiuta in due periodi: negli anni ‘10 del ‘500  realizzò gli affreschi della parete della controfacciata e negli anni ‘30 terminò l’opera con quelli della parete ovest e nord affini, per stile, alla pala per la Chiesa di San Martino della medesima città . Per dare un quadro più completo è  da annotare che le opere tra la parete nord (a sinistra dell’ingresso) e quella est, un tempo appartenuti ad una sala ausiliaria a quella del capitolo, furono compiuti negli anni 80-90 dal Pozzoserrato creando così un ciclo completo di immagini che va dalla Creazione al Giudizio Universale. L’attività per i Battuti fu intervallata da un altro importante lavoro per l’antica Chiesa di Castel Roganzuolo (presso San Fior) dove il pittore realizzò a partire dal 1525 un ciclo di affreschi per il presbiterio con scene tratte dai Vangeli e dagli Atti degli Apostoli che fu poi terminata  a fine degli anni ‘30.  Oltre a queste opere che sono da considerarsi tra le più celebri di Francesco da Milano, dobbiamo ricordare alcune commissioni per la nobile famiglia dei Collalto come gli affreschi per la chiesa del Castello San Salvatore di Susegana, l’opera  dell’Ascensione per la chiesa di Pieve di Soligo dal sapore Tizianesco e la Pala di Santa Lucia per il duomo di Porcia. L’ultima opera nota di Francesco da Milano dovrebbe essere la Sacra Conversazione per la parrocchiale di Cavaso del Tomba compiuta nel 1541.  Non si hanno dati certi sulla sua morte avvenuta ipoteticamente intorno alla metà del ‘500.

Gian Battista Cima da Conegliano

S’ignora l’anno di nascita di Cima, ma esso è ragionevolmenteSanta Elena posto tra il 1459-60 in quanto, l’estimo di Conegliano registra che, nel 1473, “Joannes Comator” , figlio di Pietro e fratello di Antonio, pagasse in proprio le tasse, atto questo che, secondo le leggi dello Stato Veneto, avveniva dopo i 14 anni di vita.   Non si hanno notizie sulla formazione del pittore, ritenuto dalla tradizione allievo del Bellini, ma anche secondo alcuni studi come vicino a Bartolomeo Montagna oppure discepolo di Gerolamo da Treviso il Vecchio. Il suo primo dipinto firmato e datato è la pala per la chiesa di San Bartolomeo di Vicenza che porta la datazione al 1489.  Pur rimanendo molti dubbi sui primissimi anni dell’attività del Cima, sappiamo con certezza che, già a fine ‘400, il pittore era attivo a Venezia dove darà vita ad una propria bottega molto vicina ai modi dei grandi maestri veneziani di quel periodo: Giovanni Bellini e Carpaccio su tutti. In questi anni compose numerose pale d’altare ( si ricordi ad esempio quella per il duomo di Conegliano datata al 1492) assorbendo a pieno le novità coloristiche e il modo di fare pittorico dei veneziani. Nei primi anni del ‘500 il Cima fu attivo in Emilia, dove lasciò alcune sue opere (Carpi, Parma) ma anche nell’entroterra veneto e soprattutto a Conegliano dove, in molteplici occasioni, fece ritorno. La sua arte, nonostante la presenza del grande Bellini, seppe stagliarsi nel campo delle grandi commissioni, facendosi valere per il suo nitore, per la purezza del colore e per l’accurata e “realistica” apertura sul paesaggio ( che molte volte ricorda la sua città natale) che viene reso quasi con “occhio fotografico.” A inizio ‘500, con l’affermarsi della nuova pittura portata in auge dal Giorgione e con l’imporsi della figura del Tiziano, il Cima, ormai vecchio, trovò poco spazio e poche commissioni, non lesinando comunque la sempre viva tenacia e coerenza nel suo agire pittorico di stampo belliniano.      Nel 1516 lasciò Venezia trovando poi la morte l’anno successivo, nella sua città natale, presso quella che ancor oggi è considerata la casa di sua proprietà a Conegliano.

La pala di Castelfranco

Uno dei capolavori del Giorgione è sicuramente la Pala  presente nel Duomo di Castelfranco, ritenuta una delle prime opere dell’iter pittorico dell’enigmatico pittore trevigiano.5-Pala di Castelfranco (1503)

La pala d’altare (nel classico schema belliniano) vede raffigurati: in centro laMadonna con il Bambino, seduta su di un alto trono; alla nostra destra vediamoSan Francesco con il consueto saio francescano e a sinistra un santo militare con stendardo. Chi è quest’ultimo?  Secondo una teoria antica quella figura rappresenterebbe Liberale, patrono della Marca Trevigiana nonchè co-titolare del Duomo di Castelfranco; un filone , poco praticato dalla critica, è che quel santo possa essere il celebre Giorgio uccisore del drago. Ma gli studi storico-artistici più recenti porterebbe ad identificare quella figura di santo militare con Nicasio. Quest’ultimo era appartenuto all’ordine dei cavalieri di Malta, detti anche gerosolimitani (fatto che giustificherebbe lo stendardo crociato che viene sventolato dal santo) e fu martirizzato nel 1187. Egli assieme a San Francesco fu molto venerato nel Sud Italia, in particolar modo a Messina. Per spiegare la presenza di questo santo sconosciuto ai più, dobbiamo indagare su chi fossero i Costanzo, committenti della Pala e proprietari della cappella dove, ancor oggi è situata l’’opera. Tale famiglia era di origine messinese e si era trasferita a Castelfranco nel 1475 dove acquistò una casa entro le mura e successivamente anche la cappella nel Duomo. Il capofamiglia, Tuzio Costanzo era di nobile famiglia; infatti il padre Muzio era stato vicerè di Cipro al servizio della Regina Caterina Cornaro presso la cui corte crebbe anche Tuzio che divenne in età matura cavaliere di Malta.6-Tomba Matteo Costanzo Egli fu poi condottiero della Repubblica di Venezia, assicurando a suo figlio Matteo, anch’egli cavaliere di Malta, un futuro nel campo militare al soldo della Serenissima. Matteo, data la figura di rilievo ricoperta dal padre nell’esercito veneto, ebbe, fino dalla giovane età, incarichi militari. A 23 anni partecipò alla Battaglia del Casentino (Toscana) ma, ammalatosi si ritirò a Ravenna dove, nell’estate del 1503, trovò la morte per una febbre improvvisa, tra le braccia del padre Tuzio che volle rendere omaggio al figlio con la pala del Giorgione (la datazione della pala si aggirerebbe tra il 1503-04 subito dopo la morte di Matteo)

La committenza della famiglia Costanzo è resa evidente dallo stemma collocato ai piedi del Trono della Madonna nel dipinto. E, grazie a questo breve inciso storico, si può dare la spiegazione della presenza di Nicasio, santo dell’ordine dei cavalieri di Malta come Matteo e Tuzio, abbinato a San Francesco al quale si associava nel culto a Messina, città natale della famiglia.  Il corpo di Matteo venne sepolto nella cappella di Famiglia, non ai piedi dell’altare come si vede oggi, ma sulla parete laterale dove venne 9-Pala di Castelfranco Particolarecollocata la lastra sepolcrale (accompagnata da un’epigrafe che elogia il defunto) in bassorilievo del condottieto Matteo Costanzo, vestito in armatura con la spada, affiancato dallo stemma della famiglia e da quello dei Verni (della famiglia della moglie Isabella). Si può pensare che tale ritratto scultoreo ( in cui si notano i capelli fluenti del soldato) dovesse associarsi al volto di Nicasio che doveva essere un ritratto del defunto Matteo.  Oggi lo sguardo stereotipato ci testimonia una damnatio memoriae nei confronti della famiglia Costanzo che portò, già nel’600, a sfregiare la pala del Giorgione. Per terminare l’analisi dell’opera bisogna notare due particolari nello sfondo: alla nostra destra vediamo due figure di guerrieri in riposo dopo una battaglia e a sinistra una torre danneggiata; entrambe sono allusione alla guerra e al dolore del padre Tuzio che ha perso il figlio Matteo. La composizione attuale della Cappella Costanzo non ci testimonia l’originale aspetto del locale voluto dai nobili castellani ( infatti nel ‘700 avvenne un radicale restauro del Duomo ad opera di F.M. Preti) : la volta della “stanza” era affrescata (forse dallo stesso Giorgione?) con scene del Cristo Pantocratore benedicente al centro e a lato i quattro evangelisti.

Giorgione. Una breve biografia.

 Autoritratto come DavidPoche sono le notizie e i documenti che riguardano “Zorzo da Castelfranco”, come limitate sono le opere autografe di questo celebre pittore trevigiano.         La sua nascita dovrebbe risalire agli anni 1577-78, stando a quanto afferma il Vasari che sostiene che il Giorgione sia morto all’età di 34 anni nel 1511. La sua giovanile attività è da rintracciarsi nel campo della pittura murale (a fresco)presso la sua città natale: appunto Castelfranco Veneto. Come tutti i giovani pittori dell’epoca la sua formazione avvenne in bottega, alle dipendenze di un pittore di sicura matrice belliniana che alcuni individuano in Vincenzo Catena. Altro dato che arricchisce la sua succinta biografia, è la probabile datazione al 1501-02 (non confortata da documenti) degli affreschi nel Duomo di Montagnana; fatto questo che confermerebbe la giovanile formazione del Giorgione nel campo della pittura murale.

Primo documento che ci parla del pittore di Castelfranco è un’iscrizione, risalente al 1506, dietro all’opera detta “La Laura” in cui Giorgione, assegnatario del quadro, viene dichiarato “collega” del pittore belliniano Vincenzo Catena. Di poco successivo è un secondo documento, redatto dal Consiglio dei Dieci, nel quale si desume che ilprocurator del Sal, Francesco Venier, pagò al nostro pittore 20 ducati come anticipo per un quadro da porsi nella Sala delle Udienze in Palazzo Ducale.

Al 1508 risalgono una serie di documenti in relazione alla committenza di alcuni affreschi per la facciata “da mar” del Fondaco dei Tedeschi. Tra questi è da segnalare quello del 11 dicembre in cui viene decisa la formazione di una “commissione”  nominata da Giovanni Bellini e composta, tra gli altri, da Carpaccio e Vittore Belliniano, la quale stima in 150 ducati il lavoro nel Fondaco; cifra che i provveditori abbassarono a 130.                     Per quanto riguarda la morte del Giorgione la data ipotizzata dal Vasari è da anticipare al 1510 ed è desumibile da un carteggio tenuto da Isabella d’Este e Taddeo Albano, suo funzionario a Venezia. Questi in una lettera di risposta alla nobile signora di Mantova (datata 7 novembre 1510) riferisce che Giorgione, del quale Isabella aveva chiesto in merito alla pittura della “nocte”, era morto di peste diversi giorni prima. image

Infine è da riferire che la fortuna del nome del Giorgione, data la mancanza di documenti, e di opere firmate, è stata tale che il mercato dell’arte, nel corso dei secoli , ha attribuito un numero altissimo di opere  le quali sono da ritenersi dei falsi clamorosi; infatti, le opere del pittore di Castelfranco, eseguite solo nel primo decennio del 500, non furono molte, prossime per lo più alla ventina. Inoltre è da sottolineare la posizione che Giorgione ricoprì, nel suo secolo, nel campo dell’arte: un ruolo di sicura modestia poichè la sua figura fu in ombra rispetto ai “grandi vecchi” come Giovanni Bellini e Carpaccio e anche rispetto ai nuovi come il Tiziano. Ma perchè? Il tutto è da rintracciare nella sua pittura criptica in alcuni casi e lontana capacità della costruzione della figura umana, dimenticata a favore dell’ abile fusione di colore e innegabile qualità di costruzione dell’atmosfera. Ma bisogna anche notare: l’incapacità di raccontare e quindi di realizzare tante “istorie” pittoriche tanto care all’arte veneta del periodo, nonchè il mancato successo personale legato agli insufficienti legami e rapporti politico-culturali  di forte spessore (privilegiando piccoli privati) che gli consentirono di avere grandi commissioni di teleri e pale d’altare.